Esco dal quadro
dove ombre incurvate
stanno con le gavette allungate
come dentro una lastra di ghiaccio congelata
donne col fazzoletto infagottate
distribuiscono la zuppa in modo arcigno
picchia il pisello sulla latta
come una pallottola stanca
Non torno più indietro
tra le anime senzapatria
con la pelle come tendaggio penzolone
non torno più indietro
là dove sui visi si moltiplicano i solchi
come sul stipite della porta
il corpo non ne ha una propria bara
e la speranza dorme a volte sulla corteccia
lacera dell’albero a volte nella vasca o sul tetto
Prendo posto nuovamente
nella luce del sol impietosa
presso il calore amichevole dei sassi
ascolto le labbra mai zittite
dell’acqua ciarliera
nella penombra due mani unite
l’invocazione di due corpi abbracciati
mi rallegro dal mattino alla sera
che lo spazio è infinito
che il mondo su un sasso
comincia e anche là finisce
e durante il coprifuoco
brilla il profilo di un viso e pone limite
alla stagione dell’immensa notte