Scesa la nebbia non sapevo dove mi trovassi
Neppure sino la targa della via vedevo
Gli amici li ho persi strada facendo
Stavo tremando e per me non c’era posto
Nella città dove tanto tempo fa son nato
All’alba di qualche quinquennale
Credevo a lungo verrà un’epoca migliore
Con un etto al giorno posso resistere
Intanto dai scafali per primo è sparita la vodka
Piuttosto che le lettere grasse dai giornali
Per bere neanche oggi mi toccherá un goccio
In più forse mi prenderò solo dei pidocchi
A San Pietroburgo forse rivedrò nuovamente
Dissi tra me e me la caduta del simulacro
Di Lenin dalle parti del golfo finnico
Il soffio del vento riportò il delirio di Pietro
Scesa la nebbia non sapevo dove mi trovassi
Mugugnai solo così per calmar’ me stesso
Ero ansioso ma la trincea era già scavata
Dove con la mitragliatrice starò accovvacciato
Per strada la notte invernale mi fece
Battere i denti di Puskin o del poliziotto
Neanche l’ombra girovagavo come la turba
Di Mose nel deserto sebbene da solo
E come mi fermai alzando il pugno
Che si bagnava di rosso come la rapa
La nebbia fitta come borsch con la
Panna ero io per me stesso la zuppa
Sopra la mia testa non fluttuavano anelli
di stelle di grasso cosi cascai nella zuppa
Agra e magra tanto tempo fa durante una
Notte d’inverno come osso e un po di polpa
Epoca mia di calderone di te come poter’
Uscire sei molto scivoloso lubrico scivolo
Indietro di continuo l’hai escogitato bene
Mio Signore ma va bene lasciam’ perdere
Qui al fondo nel denso non si sta poi male
Mangiucchiando la mia mano succosa
Signore ti prego di non torturarmi a lungo
Infilzami in una sola volta sulla forchetta
Cosi declamavo stando malapena sui piedi
Ma Dio ero lontano o non badava a me
E come Raskolnikov la sua ascia io sotto
Il capotto trascinavo il mio cuore
Faceva freddo c’era la nebbia mi venne in
Mente che potrebbero strapar’ via il mio manto
E col terrore mi parve di sentire i rintronanti
Passi in avvicinamento del cavalliere di bronzo
Ma non venne nessuno solo l’ombra dei morti
La nebbia turbinava continuavo a camminare
Mi illuminavano i lampioni ortensie pallide
Nel celofano ghiacciato incartate
Mi parve che anch’io sia diventato un’ombra
Pallida come i tramonti invernali quando
Dalla pancia di Dio sangue dorato cola
Lungo la cupola appuntita di Pietro e Paolo
Piedi miei intorpiditi hanno smarrito la via
Di casa procedo ma in tutt’altra direzione
Dove Mandelstam sgamba e telefona
E sul tavolo della cucina Almatova scrive
Nel salotto verde s’effonde il vapore del tè
Sulla nuvola del fumo dei sigari amorino
Sta disteso dall’anticamera dopo aver tolto
Le scarpe entra Blok e si adagia sul divano
Chodasevič con un’aringa tra le mani scivola
Sul marciapiede su Puškin borbottando
E i bolscevichi partono sul ghiaccio
Verso Kronštadt per un ultimo attacco
Questo fu il sonno con cui il gelo mi aveva
Obnubilato finché stavo seduto ai bordi
Del marciapiede ma gli amici mi avevano
Trovato e mi portarono a casa ancora vivo